COME SE

di Luciano Iannuso

Questi giorni di isolamento forzato per il coronavirus hanno risvegliato aspetti della nostra vita che il più delle volte rimangono nascosti. I giornali, i commentatori e tutti noi coinvolti in questa strana situazione abbiamo fatto ricorso ai più svariati strumenti a disposizione per capire, organizzarci e adeguarci alle circostanze attuali.

Fra tutte il risalto maggiore lo ha avuto un certo “come se”. Forse più di uno.
“Come se” ci rende umani nel senso che ci fa rispondere ad una situazione trasferendola in un altrove nel tempo, nello spazio o nel grado di minore o maggiore assolutezza. Non è un pensiero semplice, molto spesso fecondo. Tuttavia, se non è intenzionale, è una banale e ovvia difesa dinnanzi ad un nemico che non si conosce.

Come se fossimo in guerra

Qualcuno ha proposto un’analogia tra questo attacco del virus al cuore della nostra libertà e della nostra economia ad una guerra. Le analogie ci sono, ma molte altre mancano. Non è un’analogia perfetta. In guerra siamo privati della nostra libertà, lo Stato ci impone delle regole rigide, l’economia subisce un grosso danno. Fin qui ci siamo, l’analogia torna. Tuttavia in guerra lo Stato ti chiama alle armi, non a stare in casa; in guerra c’è il rischio di morire sotto il tetto della propria casa, oggi la casa è il luogo più sicuro; in guerra manca cibo, acqua e medicinali, e non c’è luce e non c’è gas, oggi in Italia non accade; in guerra uno Stato muove guerra ad un altro Stato, non possiamo confondere la volontà di un uomo con lo sviluppo biologico della natura.
Siamo in parte giustificati da quest’analogia perché due generazioni viventi non hanno mai veduto la guerra, se non in televisione o sul web, o al cinema (sic!). Ma sarà bene ribadire che non siamo in guerra. Qualcuno in Italia oggi sta vivendo una battaglia personale per conto di tutti noi, gli ammalati, il personale ospedaliero, le forze dell’ordine e quanti stanno garantendo i servizi essenziali per tutti noi. 
Sarebbe bene non parlare di guerra, per noi che siamo chiusi in casa. Anche se vi sono alcune analogie concordanti, queste non ci permettono di usare la parola “guerra”, anche in ragione e per pudore di tutte le guerre che finora abbiamo ignorato.

Come se fossimo tutti contagiati

L’iniziativa del governo ha imposto il restare a casa “come se fossimo tutti contagiati”. Vale a dire: non sapendo chi è contagiato e volendo contenere il contagio, l’unica strada percorribile e considerare tutti potenzialmente contagiati e contagiosi e quindi meglio stare tutti in casa quanto più è possibile. Quando non si conosce un evento imprevisto o imprevedibile allora si agisce come se si fosse davanti alla situazione peggiore o migliore possibile.
In questo caso s’è pensato alla situazione peggiore; ma quando organizzi un concorso, per esempio, pensi alla situazione migliore possibile, quella dove i candidati sono tutti bravissimi e t’ingegni a trovare i filtri migliori, tipo ai test di medicina (tanto per fare un esempio a caso).
Il limite di questo come se è non prenderlo sul serio fino in fondo. Molti potrebbero dire: “ma ti pare che tutta Italia è contagiata?” oppure “ma ti pare che pure io sia contagiato?”. Il non conoscere ci impone di farci guidare dal dubbio che, fino a prova contraria, non ammette eccezioni. Il paradosso è qui: che affermazioni di questo tipo giustificano operazioni come se avessimo davanti lo scenario peggiore, operazioni che favoriscono l’emergere di affermazioni di questo tipo.

Come se non fosse successo niente

Soprattutto all’inizio, non ce lo nascondiamo. Si procedeva con le nostre vite come se niente fosse accaduto. Come se l’eccezione che ci aveva presi di sorpresa potesse essere riassorbita nel circolo ininterrotto della norma. Costantemente la nostra tenuta sociale è minacciata dall’esterno e dal suo interno, ma il più delle volte le istituzioni, i comportamenti e le convenzioni sociali, la moralità o la necessità si adoperano perché ogni anomalia possa rientrare nel più breve tempo possibile e senza lasciare strascichi di sorta.
Qui non è stato possibile agire in questo modo perché l’eccezione ha colpito il corpo e il corpo umano. Siamo quindi tornati ad occuparci della condizione necessaria per parlare di vita biologica. E siamo tornati ai fondamentali metafisici (tempo e spazio), ma pure ai fondamentali sociali (su tutti libertà di movimento e accesso alle cure).
Il corpo ci ha costretti ad osservare la una funzione esistenziale, psichica, sociale e politica che abbiamo grosso modo dimenticato. Nei decenni abbiamo progressivamente ridotto il corpo, con i suoi fondamentali, ad involucro che appare. Solo chi conosce la malattia o la vecchiaia sa che il corpo dice e dà più di quanto appaia.
Il corpo, tanto per dirne una, ci insegna che i nostri ingranaggi della norma sono solo ingranaggi della norma. E agli ingranaggi non si è soliti attribuirgli assolutezza, invulnerabilità ed eternità.

Come se e i bambini

Coi bambini il come se è un’esperienza meravigliosa. Nei bambini e in pochissimi adulti è conservata la possibilità di dilatare delle feritoie per aprire mondi sconosciuti e inesplorati!
Il come se dei bambini rende possibile creare lì dove noi vediamo macerie. È per loro il gioco preso molto sul serio, non come noi adulti che lo facciamo nel tempo libero per distrarci dalle preoccupazioni onerose.
È un gioco che costruisce coi corpi e con l’animo, nei corpi e nell’animo. Agli adulti rimane il privilegio di contemplare e di giocare come se fossero bambini: per l’esattezza il bambino che si sono lasciati alle spalle.

L’ultimo come se è un’impressione: che spesso ricorriamo ai come se per fuggire altrove. Come se dirsi la verità è un peso insostenibile, come se per molti questi giorni non siano molto, molto duri, come se dovessimo continuare la nostra vita normale, quando di normale non c’è niente, come se questa fosse una parentesi tra un prima e un dopo e questo sia un tempo sospeso.
E allora possiamo immaginare come se queste condizioni fossero irreversibili e durature, cosa faremmo? Chi saremmo?
Probabilmente ci inventeremmo una nuova normalità. E come ogni norma anche questa contemplerebbe implicitamente un caos che preordina alla nostra volontà, sicché noi possiamo volere solo e soltanto ciò che ci viene dato.

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