Il personaggio Shoah


di Luciano Iannuso


Quando un fatto passa alla storia è già pronto per essere dimenticato.
Con esattezza, tutti i fatti che compaiono sui libri di storia sembrano godere di questo triste privilegio.
Sin da quando siamo piccoli ci raccontano che è importante conoscere il passato per comprendere il presente. Ma non possiamo procedere a caso.

Non si può, ad esempio, dire che la Shoah sia stata la peggiore dell'esperienze della storia dell'uomo e trarne la conseguenza del "non dimenticare" perché certi fatti più non si ripetano. Un motivo, questo, che ha scatenato l'arte, la letteratura, il cinema che, pur quando animato dalle migliori intenzioni, ha finito per fare della Shoah un personaggio esso stesso, animato, al suo interno, da certi personaggi che si fronteggiavano tra il Bene e il Male.

La percezione, sopratutto nelle nuove generazioni che "festeggiano" il 27 gennaio sin dalle scuole elementari, è che l'orrore di quei tempi sia stato loro ampiamente descritto "storicamente", al punto d'averne perso il fattore umano.



Giulio Cesare non ci fa nè caldo nè freddo; quest'estate sono stato ad Otranto, ma gli Ottomani non mi spaventano più di tanto: dov'è che si trova Lepanto? Gli indigeni di Potosì, oggi, non sanno neppure come si chiami il re spagnolo. 
La storia, almeno quella pop, ha il potere di depersonalizzare, di privare di complessità, di togliere agli uomini la propria umanità, finendo per costruire personaggi e sceneggiature più o meno avvincenti.

Con la Shoah, in questi ultimi trent'anni, è stato fatto questo.
Non sono spaventato dai nostalgici o dai rivisitatori del Fascismo 2.0.
Sono estremamente allarmato dalle svastiche disegnate nei bagni delle scuole o degli autogrill; dalle foto di Mussolini custodite di nascosto tra le pagine di un libro, neanche fosse nella collezione Calciatori Panini. 
Tra i vicoli romani, poi, il marchaindising del Duce va alla grande!

Sono spaventato, ancora, dall'ironia verso i fascismi. Con l'ironia si entra in confidenza, se ne relativizza l'importanza. Chi, ad esempio, è ironico con la propria calvizie o col proprio naso lungo e ricurvo, con il proprio orgoglio o con le proprie fissazioni, vuol dire che sa ridere e convivere con i propri difetti: non sono, cioè, aspetti che lo dominano o che intende schiacciare sotto i piedi.

Si può essere ironici con la Shoah ("catastrofe")? Ma non si è forse cominciato a fare ironia quando lo si è chiamato "Olacausto"? (...una pratica sacrificale della tradizione ebraica!)

E allora questa formula della Memoria produce uno scollamento dalla realtà e finisce per trasportare ogni cosa nella finzione. Gli studenti, alla fine, si annoiano di sentire parlare di Shoah, allo stesso modo in cui si annoierebbero a vedere sempre lo stesso film.
Allora forse è meglio una gita ad Auschiwitz che certamente marcherebbe la sua differenza con Cinecittà.

E nel frattempo non sappiamo alcunché delle torture negli USA, in Siria, Egitto e così via.
Questa è cronaca quotidiana e la perdiamo perché non ci restituisce personaggi ma persone: una complessità che ci chiama e alla quale siamo assolutamente inadeguati a dare una risposta.

Disse Caino a Dio: "Sono forse io custode di mio fratello?"



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